responsabilità a cinque stelle

Per Crimi essere responsabili significa proporre un Governo a Cinque Stelle.

Sarebbe come se io andassi all’Agenzia delle Entrate e facessi:

“Befera! Befera! Dove diavolo è Befera? Ah, eccoti qua. Ascolta un po’, Attilio. Io le tasse pensavo di non pagarle più, perché fin ora non mi piace affatto come le avete gestite. Ah, senti, so cosa stai per dire quindi ti blocco subito: non voglio assolutamente darti l’impressione di essere irresponsabile. Dico sul serio. Anzi, facciamo così: tu dammi tutti i soldi che raccogli con le tasse e poi io qualcosa ci faccio. Garantito. Come non si può fare? Ah bè, caro Attilio, questi sono cazzi tuoi. Io la mia disponibilità te l’ho data.”

Il “vaffanculo” come forma di profilassi

Condannando tutti, non si condanna nessuno. Non si fa, cioè, alcuna differenzaoperazione irrinunciabile per poter articolare un regime di pertinenze nel quale ascrivere le responsabilità e disporsi poi alla loro discussione e alla loro dimostrazione.

Si condannano tutti, anzi, proprio perché nessuno si senta chiamato in causa più degli altri e per poter dire – al momento opportuno – “ehi, mica ce l’avevo con te”.

Da questo punto di vista, il “vaffanculo” di Grillo (termine ombrello sotto cui possiamo raccogliere l’insieme delle sue “sparate” contro “i politici” o “i media”) non esprime alcun attacco, perché mancando di mira non ne ha la dignità eidetica. In particolare, quanto più aumentano 1) il volume della fonazione e 2) la platea di coloro cui è rivolta l’invettiva, tanto più l’invettiva stessa si trasforma nel suo contrario e diventa una mera strategia difensiva, più precisamente una profilassi contro l’insorgere della reazione altrui (“Non dicevo a te”, “il problema non è Grasso”, ecc.).

Il tutto, infine, si sposa perfettamente con le risibili risorse intellettive del grillino medio, che è opportuno non oberare di gravose argomentazioni.

Dove non si fanno differenze, in fondo, non c’è nulla da spiegare.

Per una politica come professione

Non fidarti di chi non vuole soldi, di chi non vuole essere pagato, di chi fa le cose per “puro spirito di servizio”.

Che certe cifre vadano riviste al ribasso è ovvio, dunque non interessante: lo si faccia e basta.

Tuttavia, anche e soprattutto in tempi di crisi, bisogna riservarsi la lucidità necessaria a capire che fare le leggi per un intero Paese costituisce un compito di enorme responsabilità, che non può e non deve essere retribuito come se si trattasse di un impiego qualunque.

Un elettore maturo deve fare attenzione a preservare le ragioni del professionismo e della professionalità, perché queste sono le sole che lo autorizzeranno a chiedere conto di quanto è stato fatto. Di sicuro non potrai pretendere nulla da uno come Franco Battiato, che fa l’assessore per la Regione Sicilia ma rifiuta lo stipendio per tenersi le mani libere e levare le tende alla prima difficoltà.

Se però sei interessato a prendere il 50% dei voti, allora la cosa è molto più semplice e te la cavi con poco: urla più forte degli altri, brucia qualche strega, taglia e tagliati i fondi, cambia moneta, vestiti con abiti di stoffa riciclata e non dimenticare di trovare un momento per dichiarare a qualche microfono spento che anche tu, a tuo modo, credi in Dio. A tuo modo, mi raccomando.

Altrimenti sei uno del sistema.

I morti della crisi nel fiume che scorre davanti a Grillo

DIstrazione

Uno degli aspetti più criminosi della proposta politica di Beppe Grillo, alimentatasi non soltanto del discredito nei confronti della politica ma anche delle concomitanti macerie della crisi, risiede nella strumentalizzazione del dissesto sociale e psicologico che percorre il Paese ormai da anni.

Il Movimento Cinque Stelle non è – ovviamente – responsabile della situazione in cui si trova l’Italia, ma l’ha certamente usata in maniera spregiudicata per catalizzare consenso e, dopo il voto, sta facendo di tutto affinché questa stessa situazione non si sblocchi, pena – in fondo – il venir meno delle ragioni stesse che hanno determinato il suo successo elettorale.

Nel giorno stesso in cui l’ennesima proposta di governo avanzata dal Partito Democratico viene rispedita al mittente, i morti di Perugia acquistano una coloritura particolare. Andrea Zampi, titolare di una scuola di formazione che operava nell’ambito della moda, entra negli uffici della Regione Umbria, a Perugia, e uccide Margherita Peccati e Daniela Crispolti. Dopodiché si suicida. Il mancato finanziamento del suo progetto, che si trascinava ormai dal 2009, pare avergli causato una forte crisi depressiva e, di qui, averlo indotto al gesto. Diamo ai fatti la loro giusta collocazione: Zampi non era esasperato dalla mancata formazione di un esecutivo stabile e la sua tragica vicenda si aggiunge, “semplicemente”, a una serie lunga e preoccupante di casi analoghi, che negli ultimi anni sono andati intensificandosi, facendo collassare una sull’altra cronaca nera e cronaca sociale. Niente di tutto ciò – sia detto a chiare lettere – può essere ascritto a una responsabilità oggettiva di Beppe Grillo e del M5S. Ci mancherebbe. Sono altri i politici chiamati a risponderne, a partire – per esempio – da quelli che hanno deliberatamente scelto di non adoperarsi affinché le logiche del Patto di Stabilità non finissero per congelare il portafoglio della Pubblica Amministrazione, devastando di crediti (anziché di debiti) piccole e medie imprese, ad ogni latitudine.

Di sicuro, adesso, c’è però questo: un Paese non governabile e non governato è un Paese che non può dare alcuna risposta alla crisi che conduce queste persone alla disperazione. Non so se la piattaforma proposta al M5S dal Partito Democratico prefiguri il migliore dei mondi possibili. Probabilmente no. Probabilmente, anzi sicuramente, si può fare di meglio e ci sono pochi dubbi circa il fatto che sarebbe meglio che i protagonisti di questa fase politica fossero altri. Detto questo, appurate insomma queste tristi verità, come se ne esce? Il parlamento, per balcanizzato che sia, è ormai disegnato e la responsabilità, al suo interno, si divide fra tutti i presenti. Non ci può essere qualcuno che – in ragione di un passato meno compromesso – si senta affrancato dall’onere di una partecipazione attiva.

Le mani lorde di sangue, che gettano i cadaveri della crisi nel fiume della Storia, non sono mani a 5 stelle. Ma sono quasi tutti grillini quelli seduti, più a valle, lungo le sponde del fiume. La loro colpa più grave, in questi frangenti, è l’attesa, il calcolo, la sterile rivendicazione di una persistente verginità politica. I corpi morti che nel frattempo transitano loro davanti, infatti, non sono quelli dei loro nemici. Sono quelli dei “cittadini”, di lavoratori e imprenditori che hanno rinunciato a credere che un miglioramento sia possibile, sono quelli di chi – forse – ha persino votato per loro.

In tutto questo, però, il Partito Democratico si sta esibendo in una pessima performance. Non parlo delle sue responsabilità storiche (dal 2001 ad oggi, a conti fatti, ha governato solo per un biennio e con una risicatissima maggioranza al Senato) e non parlo nemmeno della sua attuale strategia, piuttosto obbligata – in fondo – dato l’esito delle elezioni. Mi riferisco soprattutto alla sua oppiacea distanza dal Paese Reale che, a dispetto dello schiaffo del voto, perdura ancora oggi. A tradirla e a darle voce ci ha pensato ieri sera Pippo Civati, il volto nuovo che assieme a Renzi dovrebbe rappresentare la carta da giocarsi nel futuro più prossimo. In collegamento con Daria Bignardi, Civati ha tentato – a onor del vero – di raccontare l’esasperazione di questo Paese e, con ciò, di mostrarsene consapevole. L’ha fatto, tuttavia, nel peggiore dei modi possibili, mettendo assieme – a titolo di esempi – i fatti di Perugia e il suicidio di David Rossi, responsabile comunicazione di Banca Monte dei Paschi di Siena, la cui notizia è giunta nel corso della trasmissione. Posso capire la difficoltà dovuta alla necessità di elaborare un commento a caldo, ma un esponente di spicco della principale forza politica del campo progressista non può permettersi uno scivolone del genere. Il piccolo imprenditore che crolla dopo quattro anni nei quali lo Stato gli ha voltato le spalle non può rientrare nella stessa categoria sociale di un dirigente suicidatosi nel pieno di una vicenda giudiziaria che coinvolge, assieme alla sua Banca, un pezzo importante del potere politico di questo Paese. Un’analisi che confonda a tal punto le cose rivela una miopia agghiacciante e fornisce ulteriori e fondati argomenti ai detrattori del PD.

L’insufficienza del Grillino a se stesso

Ieri il grande pubblico ha cominciato a conoscere Roberta Lombardi, che per i primi tre mesi di legislatura sarà capogruppo alla Camera per il Movimento Cinque Stelle. L’attenzione dei media e dell’opinione pubblica sembra rapita dalle sue dichiarazioni sul Fascismo – rilasciate il 21 gennaio ma tornate comprensibilmente d’attualità dopo la sua nomina alla testa della truppa di deputati grillini. Credo però che quelle dichiarazioni siano assolutamente coerenti e omogenee al quadro clinico del grillino modello, un soggetto alla perenna ricerca di una figura paterna, più o meno totemica, cui rimettere la propria insufficienza: Grillo, Mussolini, il Barbapapà, scegliete voi. Anzi, scelgano loro.

Mi sembra più interessante, semmai, concentrarci sulle forme in cui questa insufficienza del Grillino a se stesso si manifesta, talora cercando di dissimularsi in qualcos’altro. Ad esempio, durante il discorso di presentazione all’Hotel Universo – albergo il cui nome rivela, forse, l’intrepido raggio dell’ambizione grillina – la Lombardo ha dichiarato che “ogni cittadino è leader di se stesso”, formulando così un pensiero che sembra appartenere alla politica solo per un fortuito accidente e che pare invece interessare in misura ben più significativa l’ambito della terapia psichiatrica. Diventare grillini significa, in qualche modo, intraprendere un percorso di autocoscienza che conduca a farsi carico di se stessi. Impresa – sia chiaro – senz’altro meritoria, che tuttavia saluteremmo con maggiore simpatia se avesse il buon cuore di non voler utilizzare il Parlamento e le istituzioni della Repubblica italiana come luogo e strumento di cura.

D’altra parte, se dovessimo davvero leggere in termini politici una dichiarazione di questo tipo (ripetuta come un mantra da tutti gli attivisti del Movimento), saremmo costretti a rilevare una precisa strategia che intende limitare la sfera e il potere d’influenza di ogni attivista grillino, elettore o eletto poco importa, alla sua propria e sola persona, in modo tale da farne un piccolo e ramingo borgo di cellule umane agevolmente presidiabile dal Capo.

E ovviamente no, non può trattarsi di questo.

Molto meglio la terapia.

M5S, il consenso nel sangue

Nel tentativo di disarcionare Grillo dal vasto fronte di consenso sul quale è attualmente seduto in posizione trionfale, le forze democratiche di questo Paese ripongono una fiducia eccessiva nella libera coscienza dei parlamentari del Movimento Cinque Stelle e, soprattutto, nell’elettorato che – a breve – potrebbe essere richiamato nuovamente al voto.

I primi – cioè i neoparlamentari – sono perfettamente consapevoli che la loro fortuna politica, ancora per qualche anno, è nelle mani del comico genovese, il quale ha apertamente dichiarato di avere in casa propria le fedine penali di tutti gli eletti – chissà, forse per “macchiarle” qualora la situazione lo richieda.

Gli elettori, salvo pochi ingenuotti che credono veramente al mantra della democrazia diretta (tecnicamente impraticabile in un Paese di 60 milioni di abitanti), non sono affatto interessati al tenore democratico della proposta di Grillo. Inutile farli riflettere sulle posizioni autocratiche del loro capo, sulle possibili derive totalitarie del modello di società proposto dal M5S o, ancora, sul fatto che una significativa fetta della base elettorale del Movimento proviene dagli ambienti dell’estrema destra. Quelli che hanno votato M5S, in larga maggioranza, non hanno nessuna voglia di essere consultati ogni due minuti per partecipare alle attività del parlamento e sono fondamentalmente indifferenti rispetto alla costituzionalità delle proposte avanzate da Grillo (l’ultima, in ordine di tempo, investe il divieto di mandato imperativo sancito dall’art. 67 della Costituzione).

Per conservare il proprio elettorato, a Grillo sarà sufficiente, di tanto in tanto, esibire qualche strega appesa alla forca. Mentre la scheda veniva infilata nell’urna, infatti, i messaggi ancora vivi nella testa degli elettori erano quelli della mattanza promessa in campagna elettorale: “tutti a casa”, “siete circondati”, “arrendetevi”, “vaffanculo” e quant’altro. L’agorà da dare in pasto a questa pletora di incazzati è non tanto la piazza di Atene quanto piuttosto piazzale Loreto (tutt’al più a ruoli invertiti). Facendo questo a intervalli regolari, Grillo potrà sabotare qualunque istituto democratico senza risentirne minimamente in termini di consenso popolare.

Il voto per il Movimento Cinque Stelle non è – per lo più – un voto di protesta. Si tratta, piuttosto, di un voto di rabbia, sprovvisto della razionalità e del disegno politico insito nella struttura stessa della protesta e, semmai, collassato nella sua articolazione sulla mera prefigurazione della vendetta, del macello, del conto da far pagare. Sono troppi i grillini che ho sentito “rassicurare” i propri interlocutori dicendo che “no ma io mica penso che Grillo possa davvero cambiare le cose” per non essere indotto a pensare che, alla fine, l’abbiano votato solo per veder scorrere un po’ di sangue (metaforico o meno).

Il Partito Democratico, con i suoi ponti gettati sull’abisso, sta facendo molto male i suoi conti.