Sull’Euro nessun Referendum.

Euro sì o Euro no? La domanda comincia ad essere posta, da più parti, con una frequenza sempre più marcata. A molti, incoraggiati dall’esito delle ultime elezioni politiche, pare che la strada più opportuna da intraprendere sarebbe quella di un referendum. Il mio invito è molto semplice: non facciamo cazzate.

L’istituto del Referendum, come riteneva il vecchio socialista Arturo Labriola, è uno strumento pericoloso, che volge l’espressione della volontà popolare verso una forma plebiscitaria, rendendola soggetta a un rischio di manipolazione che tende a privarla di potere sostanziale nella stesso momento, e nella stessa misura, in cui la dota di potere formale.

Come tale, il referendum deve essere limitato – nel suo esercizio – alle materie rispetto alle quali sia possibile formulare un quesito non soltanto “secco” ma, per così dire, “limitato a se stesso”, capace cioè di esaurire gli effetti della risposta nel solo e precipuo ambito tracciato dalla domanda.

Aborto e Divorzio, in questo senso, mi sembrano rispondere positivamente a questi criteri. Quesiti come quelli formulati sull’acqua, sul nucleare e sul finanziamento pubblico ai partiti – solo per citarne alcuni – tendono invece a sollecitare risposte i cui effetti “esplodono” al di là del perimetro individuato dalla scelta di valore (ad esempio, acqua pubblica vs acqua privata) e richiedono interventi legislativi di supporto per stabilizzare il quadro riconfigurato dalla consultazione referendaria.

Come faranno, ad esempio, le aziende operanti nel settore idrico a fare fronte alla mancata remunerazione del capitale investito? Un problema del genere esula dal solo e precipuo ambito tracciato dal quesito referendario e tuttavia è dischiuso, o provocato, dalla risposta che viene data al quesito stesso. Pertanto, un referendum come quello sull’acqua – in ragione degli effetti “esplosi” dalla risposta – mi sembra quantomeno improprio o, se vogliamo, non congruo.

In questa prospettiva, il quesito referendario più improbabile, inopportuno e, forse, addirittura illegittimo che si possa immaginare è quello che alcuni – purtroppo molti – vorrebbero porre sull’uscita dalla moneta unica europea, l’Euro. I temi coinvolti dagli effetti di una risposta a questo quesito sarebbero tanti e tali da suggerire che a farsi carico della faccenda sia, eventualmente, l’assemblea elettiva – vale a dire il Parlamento – il quale dispone di strumenti legislativi più articolati e capaci, per questo, di rendere conto della natura sfaccettata e articolata dell’argomento.

Non c’è iconoclastia, in fondo, che non produca un’opposta ed equivalente iconocrazia. Cerchiamo piuttosto di fare a meno di tutte le icone, di tutti i totem, di tutti gli idoli, delle abrasioni cognitive prodotte nel discorso dalle spinte rabbiose e fideistiche con cui ci illudiamo – soprattutto in tempi di crisi – di uscire dall’Europa, dalla Costituzione, da noi stessi. Da dove, in fondo, non possiamo non essere. Facciamo funzionare questa democrazia, che la nostra Costituzione articola in una forma mirabile, invidiata da mezzo mondo. Chiediamole di discutere di tutto, magari anche di se stessa. Ma chiediamole anche di farlo nelle sedi in cui ha senso che questo accada.

Non al cesso.

M5S, il consenso nel sangue

Nel tentativo di disarcionare Grillo dal vasto fronte di consenso sul quale è attualmente seduto in posizione trionfale, le forze democratiche di questo Paese ripongono una fiducia eccessiva nella libera coscienza dei parlamentari del Movimento Cinque Stelle e, soprattutto, nell’elettorato che – a breve – potrebbe essere richiamato nuovamente al voto.

I primi – cioè i neoparlamentari – sono perfettamente consapevoli che la loro fortuna politica, ancora per qualche anno, è nelle mani del comico genovese, il quale ha apertamente dichiarato di avere in casa propria le fedine penali di tutti gli eletti – chissà, forse per “macchiarle” qualora la situazione lo richieda.

Gli elettori, salvo pochi ingenuotti che credono veramente al mantra della democrazia diretta (tecnicamente impraticabile in un Paese di 60 milioni di abitanti), non sono affatto interessati al tenore democratico della proposta di Grillo. Inutile farli riflettere sulle posizioni autocratiche del loro capo, sulle possibili derive totalitarie del modello di società proposto dal M5S o, ancora, sul fatto che una significativa fetta della base elettorale del Movimento proviene dagli ambienti dell’estrema destra. Quelli che hanno votato M5S, in larga maggioranza, non hanno nessuna voglia di essere consultati ogni due minuti per partecipare alle attività del parlamento e sono fondamentalmente indifferenti rispetto alla costituzionalità delle proposte avanzate da Grillo (l’ultima, in ordine di tempo, investe il divieto di mandato imperativo sancito dall’art. 67 della Costituzione).

Per conservare il proprio elettorato, a Grillo sarà sufficiente, di tanto in tanto, esibire qualche strega appesa alla forca. Mentre la scheda veniva infilata nell’urna, infatti, i messaggi ancora vivi nella testa degli elettori erano quelli della mattanza promessa in campagna elettorale: “tutti a casa”, “siete circondati”, “arrendetevi”, “vaffanculo” e quant’altro. L’agorà da dare in pasto a questa pletora di incazzati è non tanto la piazza di Atene quanto piuttosto piazzale Loreto (tutt’al più a ruoli invertiti). Facendo questo a intervalli regolari, Grillo potrà sabotare qualunque istituto democratico senza risentirne minimamente in termini di consenso popolare.

Il voto per il Movimento Cinque Stelle non è – per lo più – un voto di protesta. Si tratta, piuttosto, di un voto di rabbia, sprovvisto della razionalità e del disegno politico insito nella struttura stessa della protesta e, semmai, collassato nella sua articolazione sulla mera prefigurazione della vendetta, del macello, del conto da far pagare. Sono troppi i grillini che ho sentito “rassicurare” i propri interlocutori dicendo che “no ma io mica penso che Grillo possa davvero cambiare le cose” per non essere indotto a pensare che, alla fine, l’abbiano votato solo per veder scorrere un po’ di sangue (metaforico o meno).

Il Partito Democratico, con i suoi ponti gettati sull’abisso, sta facendo molto male i suoi conti.