I morti della crisi nel fiume che scorre davanti a Grillo

DIstrazione

Uno degli aspetti più criminosi della proposta politica di Beppe Grillo, alimentatasi non soltanto del discredito nei confronti della politica ma anche delle concomitanti macerie della crisi, risiede nella strumentalizzazione del dissesto sociale e psicologico che percorre il Paese ormai da anni.

Il Movimento Cinque Stelle non è – ovviamente – responsabile della situazione in cui si trova l’Italia, ma l’ha certamente usata in maniera spregiudicata per catalizzare consenso e, dopo il voto, sta facendo di tutto affinché questa stessa situazione non si sblocchi, pena – in fondo – il venir meno delle ragioni stesse che hanno determinato il suo successo elettorale.

Nel giorno stesso in cui l’ennesima proposta di governo avanzata dal Partito Democratico viene rispedita al mittente, i morti di Perugia acquistano una coloritura particolare. Andrea Zampi, titolare di una scuola di formazione che operava nell’ambito della moda, entra negli uffici della Regione Umbria, a Perugia, e uccide Margherita Peccati e Daniela Crispolti. Dopodiché si suicida. Il mancato finanziamento del suo progetto, che si trascinava ormai dal 2009, pare avergli causato una forte crisi depressiva e, di qui, averlo indotto al gesto. Diamo ai fatti la loro giusta collocazione: Zampi non era esasperato dalla mancata formazione di un esecutivo stabile e la sua tragica vicenda si aggiunge, “semplicemente”, a una serie lunga e preoccupante di casi analoghi, che negli ultimi anni sono andati intensificandosi, facendo collassare una sull’altra cronaca nera e cronaca sociale. Niente di tutto ciò – sia detto a chiare lettere – può essere ascritto a una responsabilità oggettiva di Beppe Grillo e del M5S. Ci mancherebbe. Sono altri i politici chiamati a risponderne, a partire – per esempio – da quelli che hanno deliberatamente scelto di non adoperarsi affinché le logiche del Patto di Stabilità non finissero per congelare il portafoglio della Pubblica Amministrazione, devastando di crediti (anziché di debiti) piccole e medie imprese, ad ogni latitudine.

Di sicuro, adesso, c’è però questo: un Paese non governabile e non governato è un Paese che non può dare alcuna risposta alla crisi che conduce queste persone alla disperazione. Non so se la piattaforma proposta al M5S dal Partito Democratico prefiguri il migliore dei mondi possibili. Probabilmente no. Probabilmente, anzi sicuramente, si può fare di meglio e ci sono pochi dubbi circa il fatto che sarebbe meglio che i protagonisti di questa fase politica fossero altri. Detto questo, appurate insomma queste tristi verità, come se ne esce? Il parlamento, per balcanizzato che sia, è ormai disegnato e la responsabilità, al suo interno, si divide fra tutti i presenti. Non ci può essere qualcuno che – in ragione di un passato meno compromesso – si senta affrancato dall’onere di una partecipazione attiva.

Le mani lorde di sangue, che gettano i cadaveri della crisi nel fiume della Storia, non sono mani a 5 stelle. Ma sono quasi tutti grillini quelli seduti, più a valle, lungo le sponde del fiume. La loro colpa più grave, in questi frangenti, è l’attesa, il calcolo, la sterile rivendicazione di una persistente verginità politica. I corpi morti che nel frattempo transitano loro davanti, infatti, non sono quelli dei loro nemici. Sono quelli dei “cittadini”, di lavoratori e imprenditori che hanno rinunciato a credere che un miglioramento sia possibile, sono quelli di chi – forse – ha persino votato per loro.

In tutto questo, però, il Partito Democratico si sta esibendo in una pessima performance. Non parlo delle sue responsabilità storiche (dal 2001 ad oggi, a conti fatti, ha governato solo per un biennio e con una risicatissima maggioranza al Senato) e non parlo nemmeno della sua attuale strategia, piuttosto obbligata – in fondo – dato l’esito delle elezioni. Mi riferisco soprattutto alla sua oppiacea distanza dal Paese Reale che, a dispetto dello schiaffo del voto, perdura ancora oggi. A tradirla e a darle voce ci ha pensato ieri sera Pippo Civati, il volto nuovo che assieme a Renzi dovrebbe rappresentare la carta da giocarsi nel futuro più prossimo. In collegamento con Daria Bignardi, Civati ha tentato – a onor del vero – di raccontare l’esasperazione di questo Paese e, con ciò, di mostrarsene consapevole. L’ha fatto, tuttavia, nel peggiore dei modi possibili, mettendo assieme – a titolo di esempi – i fatti di Perugia e il suicidio di David Rossi, responsabile comunicazione di Banca Monte dei Paschi di Siena, la cui notizia è giunta nel corso della trasmissione. Posso capire la difficoltà dovuta alla necessità di elaborare un commento a caldo, ma un esponente di spicco della principale forza politica del campo progressista non può permettersi uno scivolone del genere. Il piccolo imprenditore che crolla dopo quattro anni nei quali lo Stato gli ha voltato le spalle non può rientrare nella stessa categoria sociale di un dirigente suicidatosi nel pieno di una vicenda giudiziaria che coinvolge, assieme alla sua Banca, un pezzo importante del potere politico di questo Paese. Un’analisi che confonda a tal punto le cose rivela una miopia agghiacciante e fornisce ulteriori e fondati argomenti ai detrattori del PD.