M5S, il consenso nel sangue

Nel tentativo di disarcionare Grillo dal vasto fronte di consenso sul quale è attualmente seduto in posizione trionfale, le forze democratiche di questo Paese ripongono una fiducia eccessiva nella libera coscienza dei parlamentari del Movimento Cinque Stelle e, soprattutto, nell’elettorato che – a breve – potrebbe essere richiamato nuovamente al voto.

I primi – cioè i neoparlamentari – sono perfettamente consapevoli che la loro fortuna politica, ancora per qualche anno, è nelle mani del comico genovese, il quale ha apertamente dichiarato di avere in casa propria le fedine penali di tutti gli eletti – chissà, forse per “macchiarle” qualora la situazione lo richieda.

Gli elettori, salvo pochi ingenuotti che credono veramente al mantra della democrazia diretta (tecnicamente impraticabile in un Paese di 60 milioni di abitanti), non sono affatto interessati al tenore democratico della proposta di Grillo. Inutile farli riflettere sulle posizioni autocratiche del loro capo, sulle possibili derive totalitarie del modello di società proposto dal M5S o, ancora, sul fatto che una significativa fetta della base elettorale del Movimento proviene dagli ambienti dell’estrema destra. Quelli che hanno votato M5S, in larga maggioranza, non hanno nessuna voglia di essere consultati ogni due minuti per partecipare alle attività del parlamento e sono fondamentalmente indifferenti rispetto alla costituzionalità delle proposte avanzate da Grillo (l’ultima, in ordine di tempo, investe il divieto di mandato imperativo sancito dall’art. 67 della Costituzione).

Per conservare il proprio elettorato, a Grillo sarà sufficiente, di tanto in tanto, esibire qualche strega appesa alla forca. Mentre la scheda veniva infilata nell’urna, infatti, i messaggi ancora vivi nella testa degli elettori erano quelli della mattanza promessa in campagna elettorale: “tutti a casa”, “siete circondati”, “arrendetevi”, “vaffanculo” e quant’altro. L’agorà da dare in pasto a questa pletora di incazzati è non tanto la piazza di Atene quanto piuttosto piazzale Loreto (tutt’al più a ruoli invertiti). Facendo questo a intervalli regolari, Grillo potrà sabotare qualunque istituto democratico senza risentirne minimamente in termini di consenso popolare.

Il voto per il Movimento Cinque Stelle non è – per lo più – un voto di protesta. Si tratta, piuttosto, di un voto di rabbia, sprovvisto della razionalità e del disegno politico insito nella struttura stessa della protesta e, semmai, collassato nella sua articolazione sulla mera prefigurazione della vendetta, del macello, del conto da far pagare. Sono troppi i grillini che ho sentito “rassicurare” i propri interlocutori dicendo che “no ma io mica penso che Grillo possa davvero cambiare le cose” per non essere indotto a pensare che, alla fine, l’abbiano votato solo per veder scorrere un po’ di sangue (metaforico o meno).

Il Partito Democratico, con i suoi ponti gettati sull’abisso, sta facendo molto male i suoi conti.