Il 26 maggio si terrà a Bologna un Referendum consultivo contro i finanziamenti pubblici alle scuole d’infanzia a gestione privata. I cittadini del Comune capoluogo di Regione potranno votare dalle 8 alle 22. Dal sito dei promotori, riporto il testo del quesito:
“Quale fra le seguenti proposte di utilizzo delle risorse finanziarie comunali che vengono erogate secondo il vigente sistema delle convenzioni con le scuole d’infanzia paritarie a gestione privata ritieni più idonea per assicurare il diritto all’istruzione delle bambine e dei bambini che domandano di accedere alla scuola dell’infanzia?
a) utilizzarle per le scuole comunali e statali
b) utilizzarle per le scuole paritarie private”
Mentre la data del voto si avvicina, si moltiplicano episodi di inquietante ostruzionismo nei confronti dell’azione referendaria.
A fronte di un documento firmato da Lega e PDL che “impegna il sindaco, Virginio Merola, a mantenere intatto l’indirizzo politico sino ad oggi seguito dal Comune e a favorire la massima informazione possibile sui vantaggi offerti dalle convenzioni con le scuole paritarie nel nostro comune”, il PD risponde sull’attenti e, con il capogruppo in Consiglio Comunale Francesco Critelli, rassicura l’opposizione, affermando che l’assemblea “ha già da tempo votato la delibera di giunta che rinnovava per quest’anno il milione di euro per le scuole paritarie”.
La posizione del Partito Democratico è, in effetti, quella che solleva le maggiori perplessità. Lunedì 10 aprile è cominciato il Tour che porterà il Sindaco Virigino Merola a illustrare nei diversi quartieri le ragioni dell’opzione B, quella favorevole a non toccare i finanziamenti alle materne private. Il PD, inoltre, sarà in Piazza Maggiore il giorno prima del voto, con una manifestazione che a molti sembra profondamente inopportuna: i referendari, in particolare, ne denunciano la scorrettezza e fanno sapere di aver evitato di chiedere l’uso della Piazza per rispetto della legge sul silenzio elettorale, che dev’essere garantito nelle ore antecedenti il voto.
La posizione del PD si basa sull’evocazione di uno scenario terribile, quello in ragione del quale molte bambine e molti bambini sarebbero costretti – sospesi i finanziamenti alle private – a restare a casa. Le rette, infatti, dovrebbero necessariamente aumentare e non tutti potrebbero permettersele; dall’altra parte, la ricettività delle strutture pubbliche è già satura e – secondo il Partito Democratico – non potrebbe dunque assorbire la domanda in eccesso.
Siamo di fronte a un ricatto puro e semplice, figlio di una miopia politica grave. I soldi destinati al sistema delle scuole materne, infatti, vengono considerati – nella prospettiva del PD – come una sorta di “isola a parte”, nell’ambito della quale è impossibile – in effetti – riuscire ad adeguare l’offerta pubblica (più scuole, più insegnanti, ecc) usufruendo dei soli fondi attualmente destinati alle strutture private. Detto altrimenti: la domanda attualmente soddisfatta dalle scuole private che beneficiano dei fondi pubblici non sarebbe più soddisfatta qualora gli stessi fondi fossero destinati a migliorare l’offerta pubblica, perché questo miglioramento ha – in realtà – costi maggiori, che quei fondi coprirebbero solo in parte. Insomma: il PD ci sta dicendo che dando “10” alle scuole private si ottengono effetti migliori rispetto a quelli riscontrabili in uno scenario nel quale quegli stessi “10” venissero investiti nel settore pubblico. Grazie, lo sappiamo già.
Occorre allora avere il coraggio, soprattutto politico, di rifiutare questa logica dell “isola a parte” e, piuttosto, di considerare i fondi per le materne nel quadro del budget complessivo della pubblica amministrazione. Si tratta cioè di interrogarsi sulla priorità assegnata alle scuole materne all’interno di questo budget, la cui allocazione – evidentemente – risponde a priorità diverse, che potrebbero essere convenientemente rimodulate, mettendo la scuola pubblica nelle condizioni di fare fronte – autonomamente – alla domanda delle famiglie. La cosa andrebbe forse a detrimento di altre voci di bilancio? Certo. La politica è discriminante, per definizione. E in politica ci si distingue, esattamente, per come si decide di discriminare.
Non è un caso, a ben vedere, che solo in vista del Referendum il PD – desideroso di trovare una qualche via per smarcarsi da Lega e PDL – abbia indetto una campagna per chiedere allo Stato di assumere la gestione diretta di più scuole dell’infanzia. Il Partito Democratico bolognese cerca, in questo modo, di allargare il cerchio e la scala delle responsabilità coinvolte, alleggerendo e relativizzando la propria posizione. L’operazione, in ogni caso, rappresenta un successo del Comitato Referendario perché costringe il PD – nel momento stesso in cui conferma il proprio sostegno all’opzione B – a segnalare, probabilmente controvoglia, il problema politico di fondo indicato più sopra e, cioè, la priorità che questo Paese è chiamato a riconoscere o misconoscere, una volta per tutte, al tema dell’istruzione pubblica e delle scuole materne pubbliche.
Si tratta, in fondo, di decidere se sia giusto o accettabile che una dissennata allocazione delle risorse non garantisca a tutte le bambine e a tutti i bambini il diritto costituzionale ad una scuola materna pubblica ed efficiente. Deve deciderlo, in primo luogo, la principale forza progressista del Paese, il Partito Democratico, che si sta invece comportando in maniera imbarazzante.
L’aconfessionalità dello Stato non può essere difesa da una politica balbuziente, disposta a sospendere la propria laicità per non doverne sostenere i costi.