Negoziofobìa. Grillo e la controriforma del linguaggio.

Grillo non mente.

La sua verità, semplicemente, è come la forma logica nelle proposizioni di Wittgenstein: non viene detta, è mostrata.

Quando dice che “gli altri”, “i partiti”, “la casta” e, più in generale, tutte le figure del Potere da abbattere “non hanno nemmeno il linguaggio per capire”, non dice la verità, però la mostra.

È falso, cioè, che il M5S abbia prodotto nuove categorie del pensiero politico, tali da determinare un ritardo nella loro corretta identificazione da parte delle altre forze politiche. È vero però che Grillo gioca la carta di una riforma del linguaggio i cui effetti non siano implementabili nei circuiti della negoziazione politica abituale.

Si tratta, precisamente, di una controriforma, termine con il quale intendo rendere l’analogo profano dell’omonimo sacro. Così come la controriforma aveva stabilito l’impossibilità di mettere in discussione il contenuto religioso incardinandolo attorno al frame cognitivo del dogma, la controriforma del linguaggio ascrivibile al Grillismo mostra (senza affermare, come si diceva sopra) l’impossibilità di mettere in discussione la Realtà, incardinandola attorno al frame cognitivo del suo riconoscimento immediato e diretto.

Poiché quest’ultimo non può non imporsi a chi non sia in malafede, la realtà è data come chiara e inderogabile e derubrica, in quanto tale, la possibilità stessa del negoziato e della trattativa, da cui – non a caso – i grillini dichiarano di volersi programmaticamente astenere. Negoziato e compromesso vengono rigettati non già in ragione di una diversa concezione della Realtà bensì in ragione del fatto che una delle due parti ritiene impossibile che possa esistere una diversa concezione della Realtà. È per questo che i grillini non sanno rispondere alle domande. Perché non si aspettano che gliele facciate.

Il grillino si concepisce come testimone di una Realtà che gli è completamente dischiusa dalla trasparenza della rete. È la rete, in questo sistema, a fornire le risposte. L’umanità deve solo formulare domande. “Chi ti paga?”. detto altrimenti, lo può chiedere chiunque. La risposta, tuttavia, non sarà fornita dalla persona cui è indirizzata la domanda, bensì dalla Rete. Le persone, colte in stesse, sono semplicemente giustapposte e cosmologicamente indipendenti (“uno vale uno”): qualora vogliano sapere qualcosa una dell’altra non entrano in comunicazione fra loro (cosa che infatti è proibita ai grillini) e, piuttosto, lasciano che la Rete racconti loro la verità di cui hanno bisogno. È la rete, e solo la rete, che risponde. Le persone no, le persone fanno solo domande.

Il grillino non è maleducato. Non gli siete antipatici. Non vi risponde per un semplice motivo. Non sa come si fa.

responsabilità a cinque stelle

Per Crimi essere responsabili significa proporre un Governo a Cinque Stelle.

Sarebbe come se io andassi all’Agenzia delle Entrate e facessi:

“Befera! Befera! Dove diavolo è Befera? Ah, eccoti qua. Ascolta un po’, Attilio. Io le tasse pensavo di non pagarle più, perché fin ora non mi piace affatto come le avete gestite. Ah, senti, so cosa stai per dire quindi ti blocco subito: non voglio assolutamente darti l’impressione di essere irresponsabile. Dico sul serio. Anzi, facciamo così: tu dammi tutti i soldi che raccogli con le tasse e poi io qualcosa ci faccio. Garantito. Come non si può fare? Ah bè, caro Attilio, questi sono cazzi tuoi. Io la mia disponibilità te l’ho data.”

PD. Paura (della) Debacle.

http://www.repubblica.it/politica/2013/02/05/news/monti_attacca_la_lega_alimentano_populismo_e_non_respinge_l_apertura_di_bersani-52012526/?ref=HREA-1

Monti e Bersani pronti all’accordo. Poi precisano: “Per fare le riforme”.

Per certi versi, nessuna novità: è da qualche mese che va avanti. Si è sempre parlato, infatti, della necessità di una convergenza post-elettorale finalizzata alla riforma delle architetture istituzionali, delle cosiddette “regole del gioco”. era ed è il più classico dei tranelli: nel breve periodo consente a uno come Vendola di poter dire ai suoi: “se accordo ci sarà, lo faremo solo sulle regole del gioco”; nel medio e lungo periodo, a governo costituito, permette di ascrivere qualunque comune pastrocchio all’intesa sulle regole del gioco, anche qualora non c’entri niente con le regole del gioco.

Adesso però queste cautele retoriche stanno venendo meno. Monti parla di riforme “strutturali”, che non necessariamente coincidono con quelle istituzionali e che, anzi, investono ambiti di estrema sensibilità politica (lavoro, fiscalità, ricerca, solo per dirne alcuni), sui quali non è possibile immaginare un accordo che non sia anche un profondo matrimonio di idee, con tutto quello che ne consegue.

Vent’anni di coalizioni traballanti, evidentemente, non sono bastati. C’è qualcosa, più forte della memoria, che riporta a galla antiche ricette: è la paura. La paura della sconfitta che, con questo passaggio, entra ufficialmente nella campagna elettorale del PD.

Adesso non siete chiamati a votare PD solo perché altrimenti vince Berlusconi. Adesso siete chiamati a votare PD anche per un fatto umano, di buon cuore: perché i “compagnucci” cominciano a cacarsi sotto.

La sacrestia di Renzi e Bersani: primarie all’ombra della croce

Enrico Deaglio, sull’ultimo Venerdì de La Repubblica (5 ottobre 2012), ci regala un interessante ritratto incrociato di Renzi e Bersani. Da leggersi, soprattutto, alla luce di quanti vedono in Bersani l’argine alla piena democristiana che dilagherebbe con Renzi.

Non sapevo, per esempio, che Bersani si fosse laureato con una tesi sul riformismo di Papa Gregorio Magno. La cosa, in sé, ha poca importanza e, semmai, rileva di una curiosità intellettuale assolutamente irrinunciabile per costruire un rapporto salutare con una parte preponderante della società italiana, che nel cattolicesimo – sia quel che sia – si riconosce e si ritrova. Solo che la mia ignoranza, a tratti sconfinante in una memoria semplicemente lacunosa, riguarda anche altro. Avevo infatti rimosso come nel 2003 Bersani – all’epoca dirigente dei DS – fosse intervenuto al meeting riminese di CL, salutando la platea con queste parole: “Se vuole rifondarsi, la sinistra deve ripartire dal vostro retroterra ideale… La vera sinistra non nasce dal bolscevismo, ma dalle cooperative bianche dell’800. il Psi è venuto dopo le cooperative, il Pci dopo ancora, e i gruppi nati col ’68 sono spariti. Solo l’ideale lanciato da CL negli anni 70 è rimasto vivo, perché è quello più vicino alla base popolare. è lo stesso ideale che era anche delle cooperative: un fare che è anche un educare. Quando nel 1989 Achille Occhetto volle cambiare il nome del Pci, per un po’ pensò di chiamare il nuovo partito Comunità e Libertà. Perché, tra noi e voi, le radici sono le stesse”. Leggere queste righe nelle stesse ore in cui D’Alema va ripetendo che la vittoria di Renzi significherebbe la fine della sinistra di governo in Italia, mi fa pensare non tanto all’opportunità di votare per Renzi quanto piuttosto all’insussistenza delle principali argomentazioni che sostengono la candidatura del segretario uscente, Pierluigi Bersani. Il problema dell’ipoteca cattolica, che in Italia grava su qualunque soggetto politico si orienti al governo del Paese, andava risolto molto tempo fa, ma il PD ha scientemente deciso di non elaborarlo, rinviando a una cultura condivisa del bene comune, incapace – tuttavia – di declinazioni operative credibili e consistenti. Oggi quel fardello si è ossidato, entrando – più o meno coscientemente – negli schemi di tutti quelli che provano ad articolare una posizione di maggioranza all’interno del PD. Fanno eccezione pochissime personalità – penso ad esempio a Ignazio Marino – che non a caso predicano nel deserto e vengono tutt’al più ammirati come fossero curiosi Panda dal pollice opponibile. In altri termini, Renzi e Bersani – contendendosi l’egemonia nel PD – non possono non contendersi anche il suo nutrito elettorato cattolico, che nessuno dei due oserà scontentare o anche solo sfidare: poco importa, in fondo, che si tratti della dottrina sociale della chiesa o della dottrina parrocchiale del socialismo.

Renzi e Bersani potrebbero distinguersi, forse, per l’idea di Partito e, di conseguenza, per le iniziative che intendono mettere in campo per procedere alla sua riorganizzazione. Soggetto politico liquido (in parte già sognato qualche anno fa da Franceschini) o partito strutturalmente ancorato al paradigma novecentesco, che si confermerebbe nei propri (dis)livelli di delega e rappresentanza, scommettendo ancora una volta – probabilmente per l’ultima volta – sulla loro capacità di parlare a una società civile sempre più deideologizzata? La questione, fondamentalmente, è questa. Se invece volete votare qualcosa di non cattolico, perché perdere tempo a parlare del PD e delle sue primarie?